America-Cina

2023-02-05 17:23:38 By : Mr. Steven Chen

È vero che non siamo più da un pezzo il centro del mondo: dove è andato il nuovo ministro degli Esteri cinese nella sua prima visita all’estero? In Africa. A bussare alle porte di Bruxelles ci pensa (più modestamente) il capo del social TikTok. Per altre ragioni, anche il capo del Pentagono bussa (con molta più forza) alle cancellerie dei Paesi Ue (Italia compresa), perché la guerra in Ucraina continua a essere al centro di tante cose: dalla tessitura diplomatica mondiale alle preoccupazioni dei cittadini europei. Condizionando persino la vita di una reporter di guerra che ha scelto di partire per Kharkiv con il pancione. Buona lettura. La newsletter America-Cina ed è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

Il team legale di Joe Biden ha scoperto un’altra serie di documenti governativi, compresi alcuni classificati, in un secondo luogo, dopo quelli ritrovati in un ex ufficio che usava a Washington. Non è chiaro il livello di segretezza dei documenti, né quando i nuovi documenti siano stati scoperti ma il ritrovamento — in un ufficio di pertinenza di Biden quando era vicepresidente — è destinato ad aumentare l’imbarazzo di Biden e la pressione dei repubblicani sul presidente , dopo che aveva definito Donald Trump irresponsabile per aver immagazzinato centinaia di documenti sensibili, alcuni top secret, nella sua residenza di Mar-a-Lago.

La Casa Bianca per ora rifiuta di commentare. I repubblicani chiedono che sia avviata un’indagine da parte di un procuratore speciale, come nel caso dei file di Trump. Il primo ritrovamento di documenti era avvenuto presso il «Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement» di Washington. I file appartenevano a Biden quando ricopriva la carica di vice presidente di Obama... (qui l’articolo completo).

È in Africa il nuovo ministro degli Esteri cinese Qin Gang per la sua prima missione dopo la nomina. Una scelta non casuale: da anni ormai Pechino ha puntato sul continente africano per la sua grande partita di supremazia geopolitica . Negli ultimi vent’anni la Cina ha già impiegato in Africa 400 miliardi di dollari in infrastrutture e prestiti .

Il ministro Qin Gang con il presidente della Commissione dell’Unione Africana al taglio del nastro del Centro per il controllo delle malattie in Africa ad Addis Abeba, dono della Cina

I progetti realizzati con fondi cinesi (dalle imprese di costruzione venute da Pechino) sono impressionanti: 6.500 chilometri di ferrovie , 6 mila di autostrade, 200 scuole, 80 stadi sportivi, decine di uffici e quartier generali per i governi locali (alcuni faraonici e poco utili), e poi dighe, porti e aeroporti, linee per le telecomunicazioni. Una delle ultime opere edificate da imprese cinesi è il nuovo Parlamento dello Zimbabwe , tirato su dopo aver abbattuto il vecchio che nella forma ricordava il britannico palazzo di Westminster: una sostituzione che dà anche il senso di un passaggio di consegne politico tra vecchie potenze coloniali occidentali e il nuovo impero cinese. A Pechino è stato costituito un «Forum on China-Africa Cooperation» che riunisce ogni anno i leader del continente con la dirigenza comunista, un appuntamento al quale Xi Jinping tiene e non manca mai . È con queste premesse che Qin Gang è sbarcato in Etiopia e proseguirà il suo tour in Gabon, Angola, Benin, Egitto. In Etiopia il ministro mandarino ha portato la buona novella della cancellazione parziale del debito etiopico (quasi 14 miliardi di dollari). Ha visitato il palazzone quasi ultimato del Centro per il controllo delle malattie in Africa , che sta sorgendo ad Addis Abeba: 23.570 metri quadrati di uffici, sale per il coordinamento delle emergenze e un laboratorio biologico. Qin Gang ha incontrato il presidente dell’Unione Africana, che rappresenta 55 Stati del continente: ha preferito sorvolare sulla richiesta africana di avere un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza Onu, ma ha proclamato che «l’Africa dovrebbe essere il palcoscenico della cooperazione internazionale, non l’arena di una competizione tra potenze». Bella frase. Sta di fatto che mentre i governi occidentali (spinti anche dalla loro cattiva coscienza di ex colonialisti) pressano i leader africani sul fronte dei diritti umani e della corruzione e litigano sulla distribuzione dei migranti, Pechino usa spesso il linguaggio dei prestiti elargiti senza chiedere troppe garanzie sull’impiego corretto. Così, la Repubblica popolare cinese si è attirata dall’Occidente l’accusa di obiettivi neocolonialisti . Il sospetto principale è che i prestiti elargiti nascondano una «trappola del debito» . Pechino ha risposto ad agosto cancellando 23 prestiti giunti a scadenza a 17 Paesi del continente, promettendo di ridistribuire 10 miliardi di dollari attraverso il Fondo monetario internazionale. Lo scorso dicembre il presidente americano Joe Biden ha risposto riunendo a Washington una cinquantina di leader africani e mettendo sulla bilancia investimenti per 55 miliardi di dollari, nel tentativo di recuperare influenza. Secondo gli analisti però, la «generosità» cinese ha una potenza di fuoco decisamente superiore a quella degli Stati Uniti, che non riusciranno a vincere una competizione basata solo sull’elargizione di dollari. Serve un progetto di cooperazione sociale e politica , perché al momento un sondaggio d’opinione ha rilevato che nella fascia 18-24 anni gli africani vedono nella Cina il Paese straniero che ha l’impatto più grande nelle loro prospettive di vita. L’offensiva del soft power mandarino si è spinta fino alle sponde del Mediterraneo. Dopo essersi ben radicata in Algeria, Egitto, Marocco, la diplomazia cinese sta lavorando molto in Tunisia. In piena stagnazione economica, il governo di Tunisi vede nelle offerte cinesi un salvagente di pronto impiego. Il primo dono è stato un palazzo chiavi in mano che ospiterà l’Académie diplomatique: costo 72 milioni di dinari, equivalenti di 21 milioni di euro. La sede di formazione diplomatica offerta alla Tunisia dalla Cina si aggiunge all’Ospedale universitario di Sfax, al Centro culturale e sportivo di Ben Arous, nei dintorni di Tunisi, allo sbarco di un Istituto Confucio . «Il termine neo-colonialismo è usato dai Paesi occidentali per alleviare il dolore di fronte ai loro interessi che svaniscono in un continente che avevano colonizzato; con la sua crescente presenza in Africa, la Cina è divenuta il motore di una terra ignorata», ha scritto recentemente in un editoriale la Xinhua .

«Non devo chiedere perdono , non è questo il punto, la parola stessa romperebbe tutti i legami», ha detto Emmanuel Macron in una lunga intervista allo scrittore algerino Kamel Daoud sul settimanale francese Le Point . Daoud, che vive a Parigi, ha seguito Macron nella sua visita in Algeria alla fine di agosto e i due hanno poi riparlato della relazione tra Francia e Algeria durante lunghi colloqui all’Eliseo.

Il presidente francese Macron durante una visita in Algeria

Molti in Algeria si attendono le scuse ufficiali della Francia per la colonizzazione e la dura repressione del movimento indipendentista durante la guerra conclusa con gli accordi di Evian del 1962 , ma Macron rifiuta questa ipotesi. «La cosa peggiore sarebbe concludere: “Ci scusiamo e ognuno va per la sua strada” . Il lavoro della memoria e della storia non è una liquidazione completa e definitiva. È, al contrario, ammettere che c’è qualcosa di indicibile in esso, qualcosa di incompreso, qualcosa che non può essere né deciso né perdonato».

Guerre culturali: non appena si è insediata come governatrice dell’Arkansas martedì scorso, Sarah Huckabee Sanders , 40 anni, ex portavoce di Trump alla Casa Bianca (insieme nella foto sotto) e figlia dell’ex governatore dell’Arkansas e candidato alla presidenza Mike Huckabee, ha firmato un ordine esecutivo che vieta l’uso del termine «Latinx» (il termine neutro per latino o latina) nel governo dello Stato. Una scelta di immagine (il termine anche tra i latinos è usato solo dal 3% della popolazione e a molti non piace) che dice molto sul tipo di guerre culturali che i repubblicani intendono intraprendere sulle orme di Ron DeSantis, neoeletto governatore della Florida.

Il governo americano sta aumentando le pressioni sugli alleati in vista del vertice nella base tedesca di Ramstein, in programma il 20 gennaio. Il capo del Pentagono, Lloyd Austin, ha convocato per la terza volta i ministri della Difesa del «gruppo di contatto», formato dai Paesi, più di 40, pronti a fornire armi all’Ucraina . Nei giorni scorsi il Consigliere per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan , ha parlato con Francesco Talò, consigliere diplomatico di Giorgia Meloni . Ieri, mercoledì 11 gennaio, Wendy Sherman, vice del segretario di Stato Antony Blinken , ha contattato la direttrice generale del ministero degli Esteri francese, Anne-Marie Descotes.

Il capo del Pentagono Lloyd Austin

Al centro delle conversazioni almeno due temi . Primo: gli Usa chiedono un contributo maggiore ai grandi Paesi europei (Germania, Francia e anche Italia ). Gli ucraini hanno spiegato più volte quali sono le urgenze: i sistemi di difesa aerea e l’artiglieria pesante, compresi i carri armati. L’esecutivo italiano sembra pronto a inviare lo scudo di contraerea Samp-T , un programma realizzato con i francesi. Washington si aspetta la formalizzazione dell’offerta proprio nel summit di Ramstein . Secondo: l’esaurimento delle scorte negli arsenali occidentali. L’amministrazione Biden ha già sollecitato le industrie militari nazionali ad accelerare la produzione. Ora sta premendo sui Paesi alleati, in particolare sulla Germania, perché facciano la stessa cosa.

Il presidente Zelensky ha tolto la nazionalità a quattro deputati ucraini accusati di legami con Mosca e che guidano la sua opposizione. I quattro parlamentari pro-Russia sono Andriy Derkach, Taras Kozak, Rinat Kuzmin e Viktor Medvedchuk. Derkach è un legislatore indipendente sanzionato dagli Stati Uniti per aver cercato di interferire nelle elezioni statunitensi. Nel 2020 è stato etichettato dagli Stati Uniti come «un agente russo attivo, con stretti legami con i servizi di intelligence russi per oltre un decennio». Nel 2021, Medvedchuk e il suo socio in affari Kozak sono stati processati, accusati di alto tradimento e di aver aiutato la Russia ad estrarre petrolio e gas nei territori occupati dell’Ucraina. Inoltre, sono stati accusati di aver consegnato alle forze di sicurezza russe dati sensibili sull’ubicazione e sul dispiegamento delle unità militari ucraine.

Kozak è fuggito dall’Ucraina il 24 febbraio 2021, esattamente un anno prima dell’invasione russa dell’Ucraina. Medvedchuk è stato messo agli arresti domiciliari e ha definito le accuse penali contro di lui persecuzione politica. Poi ha tentato di fuggire ed è stato scambiato. Continua a posizionarsi come un serio rivale politico di Zelensky , anche se in realtà i sondaggi non lo mettono nemmeno tra i primi cinque. Il suo partito «Opposizione-Piattaforma per la vita» ha etichettato il divieto come persecuzione politica e ha cercato di rovesciarlo nei tribunali. A settembre, la Corte Suprema ha confermato il divieto. Di conseguenza, i restanti parlamentari del movimento si sono divisi in due nuove fazioni parlamentari di cui uno è la piattaforma per la vita e la pace. Kuzmin è un altro deputato. Secondo l’Ufficio investigativo statale ucraino alla vigilia e dopo l’inizio dell’invasione su vasta scala della Federazione Russa, ha diffuso materiale di propaganda nei media a scapito dell’Ucraina. Il 5 ottobre 2022 gli è stato notificato il sospetto di alto tradimento.

(Marta Serafini ) «Siete italiani, lo riconosco dall’accento» . La signora Tatiana Fiedorovna ci ha fermato davanti al mercato della carne di Odessa. Stavamo camminando e parlando in italiano. E lei se n’è accorta. Così abbiamo iniziato a chiacchierare. La signora Tatiana viene da Mykolaiv, fa l’insegnante di inglese . Ed era molto contenta di sentire qualcuno parlare in italiano. Al di là della sua storia, la signora Fiedorovna ci ha fatto tornare in mente che il celebre cartone animato del 1986 «Fievel sbarca in America» parla di Ucraina. Da lì sono partita per studiare la storia dei pogrom in Ucraina, una storia complicata che ha radici lontane e che ha visto diverse fasi.

Il protagonista del cartone «Fievel sbarca in America»

La storia dei topolini si trova su Internet: la famiglia di Fievel, composta dal padre, dalla madre e dai figlioletti Tanya, Fievel e la neonata Yasha, prima di partire per gli Stati Uniti vive in una piccola casetta, ubicata all’interno d’una abitazione umana presso uno shtetl a Sostka. All’epoca – siamo nell’inverno 1885 – Sostka fa parte dell’ impero russo. Ma oggi è una città ucraina dell’Oblast di Sumy al nord, verso il confine tra Ucraina e Russia. Ma non solo. La storia di «Fievel sbarca in America» racconta anche di un altro capitolo della storia che qua a Odessa è particolarmente sentito, quello delle persecuzioni contro gli ebrei . Dopo che il piccolo borgo ebraico di Sostka diviene bersaglio d’un ferocissimo pogrom in cui, mentre gli abitanti umani vengono razziati dai cosacchi dello zar, i gatti al seguito delle truppe s’avventano invece sui topi indifesi , la famiglia di topolini ebrei dei Toposkovich decide d’emigrare in America, dove, stando ad una credenza ben radicata nell’immaginario dei topi di tutta Europa, non ci sarebbero gatti e perciò i cinque potrebbero vivere serenamente il tanto agognato «sogno americano». Non male come metafora, se si pensa che oggi gli ucraini guardano agli Stati Uniti per difendersi dall’invasore Putin accusato di essere un dittatore pazzo e sanguinario. Però mentre Putin accusa Kiev di essere filo nazista e Zelensky risponde ricordando le sue origini ebraiche, c’è un dato da tenere in mente. La Storia è sempre molto più complicata di come la raccontano i politici. Meglio allora studiarsela da soli. Come è noto, le persecuzioni contro gli ebrei in Ucraina sono state varie. Le prime quelle durante l’impero zarista , appunto, durante le quali i cosacchi si rivoltavano contro il clero e contro gli ebrei accusandoli di sfruttare i contadini, che fanno parte del racconto di «Fievel sbarca in America». Poi tra il 1941 e il 1944 , circa 1,6 milioni di ebre che vivevano nell’allora Unione Sovietica vennero sterminati ad opera della Germania nazista e con la forte partecipazione dei collaborazionisti ucraini. Questo non significa ovviamente che oggi l’Ucraina sia un Paese nazista come dice Putin. Ma come successo anche in altri Paesi – Polonia, Italia anche – ci fu una parte della popolazione che contribuì ai massacri. Inoltre le uccisioni avvennero in Ucraina perché la maggior parte degli ebrei sovietici prima della seconda guerra mondiale viveva nella cosiddetta «Zona di residenza», di cui l’Ucraina era la parte più grande. Lo sterminio ebbe luogo nel Reichskommissariat Ukraine, nel Governarato Generale della Crimea e in alcune aree sotto controllo militare ad est sottomesse alla Germania nazista, e anche in Transnistria e nella Bucovina settentrionale (entrambe occupate e quest’ultima annessa alla Romania) e la Rutenia subcarpatica (allora parte dell’Ungheria). Tutte regioni che oggi fanno parte dell’Ucraina. A Mykolaiv, ad esempio, la stessa città della signora Fiedorvna che in questi mesi ha difeso Odessa dall’invasione russa e che è stata fondata dall’ammiraglio Potemkin per conto di Caterina la Grande per farne il cantiere navale dell’impero zarista, si tenne durante la Seconda guerra mondiale uno dei maggiori massacri di ebrei che la storia ricordi. Dal 16 al 30 settembre 1941 qui furono uccisi dai tedeschi 35.782 cittadini sovietici, la maggior parte dei quali erano ebrei . Ferite e massacri di cui quasi nessuno ricorda più. Ma che sono parte della Storia.

La nomina del generale Gerasimov , attuale capo di Stato Maggiore russo, alla guida delle operazioni in Ucraina domina le analisi degli esperti. Ognuno ha una teoria. Alcune lineari, altre con molti «se», a conferma delle difficoltà di «leggere» le mosse di un regime. A volte sembra di essere tornati all’era sovietica , ai raffreddori che mettevano fuori gioco questo o quel gerarca.

L’idea prevalente è che Vladimir Putin abbia offerto all’alto ufficiale un calice avvelenato: hai lo scettro militare, ora dimostra cosa sai fare. In caso di fallimento le colpe saranno tutte di Gerasimov, spesso criticato dai «falchi». Torna di nuovo il tema Bielorussia. Minsk imita la Russia e sta formando la sua compagnia di sicurezza privata, tipo Wagner. Si chiama Gardservis, composta per ora da mille uomini , è addestrata a condurre operazioni speciali. Chissà che non diventi lo strumento per partecipare direttamente al conflitto. Non solo armi. La Norvegia ha annunciato l’invio di 10 ponti «provvisori» a Kiev, sostituiranno le infrastrutture distrutte. Altri Paesi hanno fornito kit analoghi, fondamentali per aiutare la vita quotidiana in aree devastate dalla guerra.

Alexey Prostakishin è sopravvissuto sei giorni , non uno di più. Aveva 44 anni, una moglie e due figli ed era stato reclutato il 29 settembre in un villaggio nella Transbaikalia non lontano dalla Mongolia e dalla Cina. Il 4 ottobre era già morto nel Donetsk, primo coscritto di Vladimir Putin a cadere in questa guerra . Come lui, altri «rastrellati» di settembre non sono andati oltre il 4 ottobre. Non c’è riuscito Andrei Pichuyev, 38 anni, una moglie e due figli — ex volontario in Cecenia — portato pochi giorni prima da un villaggio della Buriazia , una repubblica asiatica di cultura mongola.

Da sinistra: Evgenij Fedoshenko, Dmitry Sidorov, Alexey Prostakishin

Falciato all’arrivo in Ucraina anche un altro buriato , Dmitry Sidorov, meccanico con una faccia da bambino di 23 anni. E sempre il 4 ottobre finisce nel sangue anche la guerra di Alexey Roik, un doganiere di 36 anni appena portato là da Cita, nell’Estremo Oriente russo. Venivano tutti, studiatamente, da lontanissimo . Un’analisi di Mariya Vyushkova , russa di etnia buriata, esperta di calcolo quantistico al centro di ricerca computazionale dell’Università di Notre Dame a Silicon Valley , mostra come la mobilitazione voluta dal Cremlino sia più ampia di quanto ammesso ufficialmente e stia producendo migliaia di vittime. Vyushkova fa emergere anche che la rete a strascico del regime è caduta sulle province remote dell’Est e dell’Artico , dove eventuali proteste preoccupano meno il Cremlino (qui l’articolo completo).

(Irene Soave ) Quasi una citazione dello scorso febbraio, quando nel primo Consiglio di sicurezza dall’inizio della guerra aveva trattato come uno scolaretto il capo dei suoi servizi segreti . Ora Vladimir Putin torna a prendersela con un «sottoposto», coram populo. Tocca al suo vicepremier, Denis Manturov , ministro del commercio e dell’industria.

La lavata di capo durante una videoconferenza (qui il video). Putin si è lamentato che alcune imprese non si siano ancora assicurate contratti per il 2023; Manturov lo ha corretto , rispondendo che «progetti di investimento sono in corso», ma questo ha solo gettato benzina sul fuoco della collera presidenziale. Putin lo ha interrotto : «Sta impiegando troppo tempo». «Non ci sono ordini nemmeno per il 2023 in alcune imprese», ha detto, solo per essere corretto ancora una volta quando Manturov gli ha detto che «tutte le imprese» hanno ordini per l’anno e «il ministero della Difesa ha confermato il numero». Cercando di mantenere la calma , Putin ha risposto insistendo ancora una volta che aveva ragione e che Manturov aveva torto. Dopo che il ministro del Commercio e dell’Industria lo ha corretto per la terza volta , il presidente russo è finalmente esploso. «Finiamola, che senso ha battibeccare qui con te? Davvero, perché stai facendo lo sciocco? ». Manturov ora dovrà «ottenere i contratti in un mese, non di più». Fine del discorso.

(Irene Soave ) Preoccupati e impoveriti . Cosa li preoccupa? Il costo della vita, la guerra in Ucraina, il rischio di un incidente nucleare, il Covid-19 ma pure il vaiolo delle scimmie. Sono contenti dei loro governi? Abbastanza. E del Parlamento Europeo? Abbastanza.

I funzionari di Eurobarometro , l’indagine annuale condotta per conto della Commissione Ue, ne hanno intervistati 26 mila tra ottobre e novembre 2022. Il campione è rappresentativo. Il 93%, dato senza precedenti, è preoccupato del costo della vita; il 46% lo ha già ridotto, tagliando sui propri standard, un altro 40% ritiene che presto lo dovrà fare. L’82% è preoccupato di rimanere — di conseguenza — povero e quindi escluso socialmente. «Le cose vanno male», in Europa, per il 62%; e nel loro Paese, di nuovo per il 62%. Il 46% fatica a vivere dei propri introiti. Il 39% ha faticato quest’anno a pagare le bollette (in Italia è il 64% ). Come il riscaldamento, così è ai minimi anche l’umore. Nota primaverile: il 70% crede che se il suo Paese non fosse nella Ue, vivrebbe peggio. Brexit (forse) insegna.

TikTok torna sotto i riflettori. Mentre in America l’amministrazione Biden riporta d’attualità il progetto di imporre la vendita delle attività statunitensi, dopo il tentativo fallito dal presidente Donald Trump, in Europa il social network, controllato dalla cinese ByteDance, gioca d’anticipo e sceglie la strada della collaborazione con la Commissione Ue.

Shou Zi Chew, 40 anni, capo di TikTok, è nato a Singapore

Su sua richiesta , il ceo di TikTok, Shou Zi Chew, ha incontrato a Bruxelles la vicepresidente e responsabile dell’Antitrust, Margrethe Vestager; il vicepresidente e commissario alla Giustizia, Didier Reynders; la commissaria per i Valori e la Trasparenza, Vera Jourova; e la commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson. Il 19 gennaio, inoltre, avrà una video conferenza con il commissario Ue al Mercato interno , Thierry Breton, che era in missione in Spagna. L’obiettivo: rassicurare l’Unione che la app cinese rispetterà i nuovi stringenti regolamenti europei sulle aziende tecnologiche e gli impegni in materia di privacy e sicurezza (qui l’articolo completo su Corriere.it).

Dal novembre 2021 al dicembre 2022 Elon Musk ha perso 165 miliardi di dollari . Nessuno, secondo i calcoli del Guinness World Records, ha mai perso tanti soldi in così poco tempo.

Prima dell’exploit del patron di Tesla e Twitter, il record della caduta più rovinosa era stato stabilito nel 2000 da Masayoshi Son (il finanziere high-tech giapponese aveva subìto un crollo di 59 miliardi). L’acquisto del social network e le perdite in Borsa di Tesla (meno 65% nel 2022) hanno scalzato Musk dal trono di uomo più ricco del mondo (che ora spetta al signore del lusso francese Bernard Arnault con un patrimonio stimato in 188 miliardi di dollari). Il tycoon sudafricano rimane secondo con 178 miliardi, un cuscino di soldi capace di attutire anche le peggiori cadute.

Il 2022 è stato un anno pericoloso per quel che riguarda le relazioni internazionali. Gli esperti del settore si domandano quanto lo sarà il 2023 . Il Center for Preventive Action — un’articolazione di quello che è forse il centro di studi internazionali più prestigioso degli Stati Uniti, il Council on Foreign Relations — ha interrogato 540 esperti di affari esteri sulle loro aspettative per l’anno appena iniziato. Ha presentato a esperti, accademici e funzionari governativi americani trenta punti di crisi possibili nel mondo e ha chiesto loro di stimare l’impatto che avrebbero e la probabilità che si verifichino nel 2023.

Ne è risultata una mappa interessante: altrettanto interessanti sono altri quattro punti caldi , individuati dagli esperti, che non facevano parte dei trenta iniziali. I rischi più pericolosi , ad alto potenziale d’impatto, sono risultati sette ... (per sapere quali leggi qui).

Altro che feste, quelli a Downing Street erano baccanali da Basso Impero romano. I party durante il lockdown negli uffici governativi, che alla fine sono costati il posto da primo ministro a Boris Johnson, si è scoperto adesso che erano dei fescennini a base di alcol e sesso a gogò.

Sotto la lente , nella fattispecie, sono finite due riunioni conviviali tenute – particolare quasi macabro – alla vigilia dei funerali del principe Filippo , la sera del 16 aprile del 2021: feste cui hanno partecipato funzionari e membri dello staff governativo e che sono andate avanti oltre le 4 del mattino. In particolare, due coppie sono state viste in atteggiamenti intimi da numerosi testimoni: una «si assaggiava» in cucina prima di sparire in una stanza buia, da cui sono poi emersi «in stato confusionale» ; un’altra coppia si è ritirata in un ufficio «con le luci spente» . Quella serata era già diventata celebre per la «valigia di bottiglie di vino» portata a Downing Street da un vicino supermercato, con i funzionari che si fotografavano nel giardino della residenza mentre giocavano sull’altalena e lo scivolo installati lì per i figli di Johnson . Ora, grazie a un’inchiesta della rete televisiva Itv , viene fuori anche «un computer che sparava musica da Spotify», una fotocopiatrice «cosparsa di vino», «tante persone in stretta prossimità» e coppie «che si toccavano». E inoltre c’erano ospiti così ubriachi che riuscivano a stento a parlare . Va ricordato che a quell’epoca, durante la pandemia, le riunioni erano vietate a meno che non fossero «di lavoro»: e sebbene a Downing Street si tratta pur sempre di uffici, quelle feste tutto erano tranne che incontri d’affari. Quel che è peggio, è che i funzionari coinvolti erano perfettamente consapevoli che stavano violando le regole imposte dallo stesso governo e dunque si erano poi dati da fare per distruggere le prove. Ma il pesce, si sa, puzza dalla testa: e il primo responsabile di quell’andazzo era il premier Johnson, che a una delle feste si era addirittura vantato che quello era «il party più non-socialmente distanziato del Regno Unito» . Dunque una regola per la gente comune e un’altra per i potenti. Ma è una sbruffonaggine che adesso gli può costare cara : perché sul capo dell’ex primo ministro pende ancora una inchiesta parlamentare sull’ipotesi che abbia mentito al Parlamento. Boris infatti, in aula a Westminster, aveva più volte affermato che nessuna norma era stata violata e che se pure era successo lui non ne sapeva niente. Queste ultime rivelazioni sembrano però smentire del tutto la sua versione: e se riconosciuto colpevole, Johnson potrebbe vedersi sospeso dal Parlamento . Una condanna simile metterebbe la parola fine ai suoi sogni di tornare al potere, che in queste settimane vengono alimentati dai suoi sostenitori (e sotto sotto da lui stesso). In ogni caso, l’ultimo capitolo della Boriseide non è stato ancora scritto.

(Irene Soave ) Ha già due figli (maschi, di 2 e 4 anni), e alle spalle un lungo curriculum di guerre documentate in ogni parte del mondo, dalla Siria all’Afghanistan, dall’Iraq al Libano . Clarissa Ward , 42 anni, capa dei corrispondenti internazionali della Cnn , è diventata nota al grande pubblico internazionale per le sue cronache — indosso un hijab nero — dalla Kabul ripresa dai talebani di due estati fa, che fu tra gli ultimi giornalisti a lasciare.

Ora la sua scelta fa discutere (come quasi ogni scelta professionale di quasi ogni madre: se si ferma ha perso l’ambizione, se continua è una carrierista...). Al quinto mese della sua terza gravidanza, da pochi giorni, è tornata in Ucraina : a Kharkiv, sul fronte orientale, gira uno speciale in vista dell’imminente anniversario della guerra, il 24 febbraio. «Può essere impegnativo con i lunghi viaggi e il freddo intenso e devi vigilare sulla cura di te stessa. Ma ricordo a me stessa che migliaia di donne ucraine vivono quest’esperienza ogni giorno », ha raccontato a People . Su Instagram si mostra di profilo con il pancione davanti a un’altalena tra le rovine di palazzi distrutti. «Condivido alcune notizie per quelli che potrebbero non saperlo», chiosa Ward ricevendo soprattutto post di congratulazioni e di sostegno. Le storie di maternità al fronte, nel giornalismo di guerra , non mancano. Insieme con Clarissa Ward, a febbraio scorso, era a Kabul anche la giornalista neozelandese Charlotte Bellis, di Al Jazeera , che aveva seguito la presa della capitale da parte dei talebani. Al sesto mese di gravidanza , e non sposata, non riuscendo a rimpatriare in Nuova Zelanda per le restrizioni anti-Covid aveva chiesto sostegno agli stessi talebani, che non glielo avevano negato. «Avevo pensato per anni di non poter avere figli, e ci avevo messo una pietra sopra. A Kabul, poi, il miracolo », aveva scritto in una lettera aperta al governo neozelandese. La più celebre e empatica delle fotografe di guerra , Lynsey Addario, nel 2015 sentì per la prima volta scalciare suo figlio mentre, incinta al quinto mese, fotografava i bambini del Corno d’Africa, scheletrici per la carestia. Poco dopo aveva pubblicato sul New York Times un editoriale: «Cosa può fotografare una donna incinta? Ogni cosa».

Grazie. A domani. Cuntrastamu. Michele Farina